Salvatore Di Concilio:
Commento alla mia intervista per il Schwarzenbach-Komplex del 2020
Alcuni giorni fa, il 13 maggio 2022, passeggiando nel mio quartiere e sulla Fritschiwiese mi sento chiamare da un vecchio conoscente spagnolo. Non lo vedevo da tanto tempo: siamo entrambi un po’ invecchiati, anzi ho fatto addirittura fatica a riconoscerlo. Era lì con sua moglie, la figlia e la nipotina e stavano pranzando nel parco. Il collega spagnolo, nel sindacato svizzero ci si chiama così, era venuto a Zurigo in vacanza, a far visita ad una parte della sua famiglia. Premetto che il mio amico, che oggi ha 68 anni, aveva fatto per più di 30 anni il muratore. Per fortuna, i lavoratori dell’edilizia hanno il diritto di andare in pensione a 60 anni. Questa è stata una importante conquista sindacale. Il collega, sposato con una orgogliosa colombiana, vive da 8 anni a Madrid mentre sua figlia, una giovane donna nata e cresciuta a Zurigo, è sposata con un italiano, ed è rimasta a vivere in Svizzera.
Perché inizio così?
Il collega, un attivo sindacalista e anti-franchista della prima ora, a un certo punto mi domanda: “Salvatore, come mai parecchi spagnoli ed italiani ora si comportano male, come si comportavano con noi gli ‘svizzeri’? Molti vedono nei ‘nuovi’ stranieri un problema? E devo dirti che anche in Spagna c’è ora una tendenza anti-straniera.”
È razzismo, è paura della concorrenza, oppure è solamente paura del nuovo?
Sicuramente, negli anni ‘60 e ‘70, per intenderci, nel periodo dell’iniziativa contro l’inforestierimento di James Schwarzenbach, anche nel sindacato svizzero dominava un miscuglio delle tre cose: paura del nuovo, razzismo e penso, soprattutto, paura della concorrenza.
I padroni, la politica svizzera volevano forza-lavoro, tanta forza-lavoro a buon mercato e concedevano pochi diritti. Nell’edilizia, per esempio, migliaia e migliaia di italiani e anche spagnoli erano stagionali. Contratti a termine e nessun diritto al ricongiungimento familiare. Centinaia e centinaia di famiglie separate e di bambini nascosti: questo il disastroso risultato di quella politica disumana. Nei sindacati e nei partiti politici, anche di sinistra, ma pure nelle chiese, tirava un forte vento anti-straniero: per opportunismo o per ipocrisia, per paura di andare controcorrente, per mancanza di coraggio e mancanza di solidarietà. Insomma fecero poco per combattere queste tendenze. Anzi le fomentarono e rafforzarono. Una vergogna! Nelle loro teste e nei loro cuori c’era paura e disprezzo.
Noi lavoravamo, rendevamo moderno e ricco il Paese ma venivamo considerati come dei parassiti. Una estrema ingiustizia! Il virus del razzismo, della paura del nuovo non son morti dopo la sconfitta di James Schwarzenbach, anzi sono ormai sdoganati. Tant’è che un partito governativo, l’UDC/SVP, lo usa come il pane quotidiano della sua politica.
Credetemi, io e il mio collega spagnolo siamo giunti a questa conclusione: il peso e l’importanza del lavoro, l’apporto sociale dato dall’emigrazione in Svizzera, come anche in altri Paesi, non vengono né considerati, né valutati né tantomeno rispettati.
Chi costruisce le case, i ponti, gli ospedali, le scuole, chi pulisce appartamenti e uffici, chi accudisce le persone anziane ed i bambini, chi ripulisce le canalizzazioni, chi raccoglie la spazzatura, ecc. non può essere considerato un peso: è di essenziale importanza per la società e il suo buon funzionamento. Prova ne sia che durante la pandemia se ne parlava come di persone indispensabili al funzionamento del sistema (“systemrelevant”)
Noi siamo stati e siamo un fondamento del funzionamento della Svizzera e chiedevamo e chiediamo rispetto e riconoscimento.
Ci siamo lasciati abbracciandoci io e il mio vecchio collega muratore spagnolo. È orgoglioso della sua famiglia, del suo prepensionamento ed è anche molto fiero del nostro contributo attivo per far diventare Zurigo più bella, più aperta e… anche un po’ mediterranea. Ci siamo detti che noi – in barba all’età – nel limite delle nostre possibilità, continueremo a lottare.
Nessuna paura, anche per le nuove generazioni ce n’è di lavoro da fare per rendere la Svizzera più inclusiva, più ecologica, più sociale, più pacifica e molto meno razzista.